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Il Libano è una gran bel paese con il vizio di fondo degli opposti. Ha due catene montuose. Il Libano e l’Antilibano, un conflitto in casa fin dalla sua nascita.

E’ una terra inquieta, come stanca del benessere di un tempo, affezionata alle turbolenze della sua nuova stagione. C’è chi ne scappa prima di annoiarsi della solita storia.

Per quanto di successo, un film, dopo qualche replica, tende a stancare. Una mamma sogna per un figlio una felicità all’infinito. Non si lascia ingannare dall’iniziale incasso del botteghino. Prevedendo la fiacca della fila, dopo i giorni di primo entusiasmo, passa subito ad altri copioni. “Légami” è il titolo di un film che racconta di un amore caparbio e indomito.

Si chiama sapientia cordis la sapienza del cuore di una mamma verso il figlio. Si chiama libano una corda di fibre intrecciata usata in marina. Se la terra di quel paese si era avvinghiata fino a non saper più sciogliere i nodi del suo male, la sua corda non avrebbe però mancato il mestiere, almeno ora che, su un barcone, una mamma ne stava prendendo il largo.

I barconi, soprattutto quando sono stracarichi di passeggeri e di speranze, tendono ad affondare, per liberarsi del peso più delle seconde, che dei primi.

Stavano precipitando sul fondo insieme ad altri; ma a lei del prossimo non interessava. In alcuni momenti è stupefacente stringere a sé la libertà di essere egoisti e sguazzarci dentro senza alcun impaccio e vergogna!

Mentre l’acqua era quasi alla gola, un oblò ha dato il suo obolo di salvezza, offrendosi alla mamma ed a suo figlio per indicare una via di uscita, malgrado stava lestamente facendosi buio sulla scena.

Un oblò è un berretto che una barca porta sempre all’altezza del suo fianco, salutando per rispetto ogni onda del mare. Ha spazio solo per uno alla volta.

La mamma avrebbe dovuto intanto lasciare suo figlio correre per il mare aperto, nella speranza di raggiungerlo immediatamente dopo, seguendolo subito da presso, congiunta alla cima tenace dell’amore. Suo figlio sarebbe passato per primo. La decisione era presa. Poi un ripensamento, un dubbio, che rovina il piano presto congegnato.

Se lei non ce l’avesse fatta a leggerne le flebili tracce nell’acqua, come abbandonarlo al largo del destino?

Neanche a parlarne di far lei da apri strada, nella speranza che poi il figlio, districandosi, sul fondo della barca, nel panico dei futuri morti, potesse riagguantarla.

Decise per un abbraccio forte, facendo scoppiare di invidia la corda che presuntuosamente andava in giro a dire che solo lei poteva tenere insieme le parti. Delle volte delle semplici consonanti fanno la differenza. Brachium è il braccio in latino, mentre le branchie sono quelle che sarebbero servite per sopravvivere.

Hanno provato a passare attraverso l’oblò, insieme abbracciati, madre e figlio, stretti stretti per non far scoppiare il portellino, troppo innamorato delle sue guarnizioni per poterle sacrificare. Li hanno trovati così, incastrati nell’oblò, con mezzo corpo fedele alla nave e mezzo corpo già tra le onde pronte ad accoglierli.

La Global Dream, la nave più grande del mondo, ha imparato dalla storia degli altri, non prende rischi e non affonderà. Non ha preso il largo e non lo prenderà. Lunga 342 metri, avrebbe potuto imbarcare oltre 9000 passeggeri, forte dei suoi 20 ponti e chissà quante centinaia di oblò. Difficoltà finanziarie sopravvenute la faranno smantellare prima ancora di bagnarsi anche solo di una spruzzata di mare raccolta dentro un secchiello di un bimbo. Come si direbbe oggi, tutto ormai è questione di barche. La Global Dream è un sogno fallito. Come la mamma e il suo bambino.