Quando si vuole fare chiarezza, si dice che occorre mettere penna su carta in modo che non possano esserci ripensamenti, centrando esattamente un’intesa raggiunta. Ci sono parole che non si fanno mettere il guinzaglio, oleate in modo che mentre stai per afferrarle ti sgusciano di mano.
Sono fatte in modo tale che, non appena prendi posizione, ti fanno trovare spiazzato, come chi non ha capito nulla della questione.
E’ di ore la notizia della morte del regista Jean-Luc Godard, che ha scelto il suicidio assistito per congedarsi da questo mondo.
Forse con ispirata intuizione il titolo di un suo celebre film: ” Fino all’ultimo respiro”.
Non è il solo ad aver battuto questa strada ed altri ne seguiranno. E’ in campo una nouvelle vague, una nuova onda che tende a questo determinarsi.
Ambienti della famiglia hanno detto che l’uomo era “esausto” e quindi ha deciso così. Si dice così anche per l’olio, le batterie e le candele; ma non importa.
Si assiste quando si è testimoni più o meno impassibili di un fatto, ma anche quando si presta aiuto e soccorso a chi versa in una situazione di bisogno.
L’assist, nello sport, è quando un compagno, studiando che sei in una posizione privilegiata per andare al punto, ti imbecca con un passaggio vincente. Si è entrambi necessari per la vittoria. Ognuno, collaborando con l’altro, si è industriato secondo capacità. Di uno solo il punto e gli applausi.
“Assistente” richiama, di primo istinto, l’idea di chi è lì con una certa freddezza a registrare una situazione senza coinvolgimenti emotivi e scalcia in continuazione con “osservatore”, che fa più o meno la stessa cosa, pur considerandosi esterno all’azione che si svolge.
Si tratta in ogni caso di essere presente e stare accanto al suicida. Se si è in famiglia, c’è da credere che questo sia, qualcuno che materialmente ti stringa la mano nel corso del trapasso.
Inciampando in Manzoni, “Ei fe’ silenzio, ed arbitro S’assise in mezzo a lor”, la morte si interpone tra due protagonisti tentando di spezzare il legame che fino all’ultimo ne regge gli affetti.
Se invece in una struttura specializzata, potrebbe venire da pensare ad una fredda separazione, un vetro o chissà cosa, la scena dei testimoni nel corso di una esecuzione di un condannato. Un po’ “come assiso talvolta il villano sulla porta del cheto abituro …”
In questi due ipotesi, l’eventuale distanza fa assoluta differenza.
Eppure “assistere” poco si addice a certe situazioni, che avrebbero bisogno piuttosto di una ben altra parola tutta da inventare.
La morte ha molti difetti ed una innegabile virtù nella pudicizia.
Vorrebbe essere risparmiata da sguardi che ne compromettano l’intimità del suo corso verso il predestinato di turno. Chiunque vi assista ne vìola in qualche modo l’esclusività e la sacralità del momento, è un frapporsi non del tutto giustificabile.
A pensarci, la morte disturba essa stessa, dandosi irritazione per la sua presenza che è già un troppo, oltre al suo essere.
Di nuovo la distanza è la differenza decisiva. Tutti in attesa di una parola che ne riduca al minimo il tratto.