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“Mario non ti resta che l’amore”, maledetto il vizio delle canzoni di dire quello che in prosa si strozza in gola. Ne occorrerebbe tanto di amore, se stai da anni paralizzato in un letto, per sfrattare il materasso dal suo tono baldanzoso.

Ne occorrerebbe tanto, da sciogliere le lingue del mondo in modo che ciascuno ogni giorno possa dire a Mario che si sta insieme a parlare dei fatti del giorno, la malattia compressa in una bottiglia con tappo ben sigillato senza mai il tempo per entrare in scena, perché le parole del mondo hanno loro il timer in mano.

La morte si vergogna di guardarsi allo specchio. Non è abituata a scoprirsi ubriaca di gioia, invocata per mettersi all’opera per la prima volta con il portafoglio pieno, battezzata come una primizia. In un baleno, una raccolta fondi per sprofondare l’angoscia nel dimenticatoio e dare fondo a ciò che sbrigativamente si può: una manciata di soldi per raddrizzare le vele.

“Ma chi l’ha detto che è giusto o sbagliato, Tagliarsi un colpo qui nella testa”. La legge è legge. Lo Stato è sotto la mannaia della micragna di spirito, inerte come un becchino riottoso che non prende parte. E’ la figurante di una vecchia coscienza che veglia impassibile l’evento.

Mario dovrà fare tutto da solo. La morte dovrà sudarsela con un suo ultimo gesto, così scatterà il conto alla rovescia. Consapevole fino alla fine, neanche una impercettibile sorpresa sul tempo dell’azione per mano di altro. Occorre solo dargli le attrezzature di costo che servono ed alla fine non sarà un problema.

Tutto pagato! Gli uomini sanno essere prodighi quando si tratta di giocare al risparmio, mai un affanno. Donano, a debita distanza, ciascuno un pezzo di morte. Che ha un prezzo; non sarà difficile accontentarla, abituata com’è a lavorare gratis. L’amore con il serbatoio ancora a secco.